venerdì 17 gennaio 2014

Pensieri sciolti...

Come i versi sciolti, che si studianoa scuola, ma non sono così poetici, i miei pensieri...
Più come cani sciolti, che zampettano e abbaiano. A metà tra il bilancio e la scoperta... E' un anno - per l'esattezza l'anno è scattato il 3 di Gennaio - che vivo all'estero.
Ritornare qui dopo le vacanze natalizie è stato un po' ritornare a casa, con l'effetto perturbante del sapere di essere partiti da casa.
E' una sensazione strana aprire la porta dell'appartamento e riconoscerne l'odore; sentirlo mio, nostro... non so se capita, ma quando penso a casa mia penso anche agli odori. Qui o in Italia, è lo stesso.
E mai come in questo palazzo di venutno piani si possono riconoscere le case dagli odori: il mio pianerottolo odora di caffè -  a volte di ragù; il piano dei signori tedeschi, a volte, manda profumi di crauti e carne ben cotta; anche dal pianerottolo della signora coreana arriva odore di verza, ma saltata in padella, a fuoco vivo... se in ascensore è salito il signore dell'ultimo piano con la moglie, allora sarà inconfondibile l'odore di tabacco e di profumo fruttato e dolcissimo...
Un anno fa sono partita letteralmente terrorizzata; pensavo che, una volta che i ragazzi fossero andati a scuola, io me ne sarei stata in casa, a studiare, scrivere mail, stirare... cercando di sopravvivere fino all'estate.
Con mia grande sorpresa non ho vissuto chiusa in questo guscio che immaginavo; il corso di cinese, la scuola dei figli, le amiche italiane, le amiche non italiane... e la voglia di vedere la città, la curiosità di uscire da questo quartiere moderno che è l'esatto opposto del centro, dove le vie sono ancora acciottolate e strette, dove ti capita ti trovare il signore che sta facendo a quarti il pollo che si è ucciso da solo, dove se hai fame puoi scegliere tra un'infinità di manicaretti da strada - dalla frutta caramellata, agli spiedini di granchio, al pane fritto o semplicemente frutta fresca...
In questi mesi mi sono accorta che è vero, non si può andare via da se stessi.
Detta in altro modo, vivere all'estero potrà anche lasciare delle tracce, ma ti porti dietro - nel bene e nel male - quello che sei. E da lì si parte a costruire il nuovo, se sai trarre qualcosa dall'esperienza, altrimenti si fanno 10.000 km e ci si ritrova chiusi nello stesso bozzolo di pettegolezzi e piccinerie che pensavo prerogativa dei paeselli da cui provengo.
Il che vuol dire che si possono incontrare persone che trasmettono serenità, riescono a vedere il lato ironico e buffo delle piccole disavventure che ti possono capitare, vivono le inevitabile discordanze con la chinese life comunque con curiosità e umana comprensione.
Oppure si incontrano sussiegosi omuncoli e donnicciole, che disprezzano a prescindere cibo, abiti, persone, aria, terra, cielo... che si ingegnano ad ottenere sconti sulle cure mediche per pietire fatture false da presentare all'assicurazione... che lasciano acceso il riscaldamento/aria condizionata "Tanto paga l'azienda"... insomma varia umanità...
Prima di partire lenivo le mie angosce ripetendomi che non sarei stata un'immigrata, ma un'expat; le parole sono niente, ma contengono anche tutto.
E' vero, sono in terra straniera, ma ci arrivo con l'airbag fornito da un'azienda che ha preparato anche l'arrivo della famiglia, oltre che del lavoratore. La casa, le cure mediche, la scuola... Non parlo cinese, ma c'è sempre qualcuno che per le pratiche burocratiche, il visto, le riparazioni a casa, gli spostamenti in auto, ti affianca e ti aiuta.
Il mio studiare il cinese è un passatempo, sull'onda della curiosità che può essere saziata grazie all'enorme lusso del tempo libero.
Potrei anche non farlo. Potrei addiritttua non parlare nemmeno l'inglese, e appoggiarmi in toto al marito anche per i rapporti con la scuola dei ragazzi. Ma questo non è da me. Devo imparare cose nuove. Devo potermi muovere da sola; era così in Italia, è così qui.
I miei figli non si sono ritrovati catapultati in una classe piena di ragazzini cinesi, a guardare una lavagna piena di caratteri sconosciuti e indecifrabili. Certo hanno cambiato mondo, ma si sono trovati in mezzo a tanti altri ragazzini - per quanto di nazionalità diversa - esattamente nelle loro condizioni: stranieri alle prese con una nuova lingua. Con una nuova scuola e una nuova vita. Non che questo risolva tutto, ma piuttosto che trovarsi ad essere gli unici diversi, trovarsi tra propri "simili" alleggerisce il peso.
Questa scuola, col suo metodo internazionale, i programmi a me sconociuti, le attività interdisciplinari, è stata un bagno di umiltà. Sono un'insegnante, ma in certi momenti non sapevo come aiutare i miei figli. Non capivo nemmeno io i compiti che dovevano svolgere e ho dovuto accettare il fatto che andassero a scuola con le consegne mancanti. Oppure - colmo del ridicolo - scoprire di avere dato delle dritte sbagliate...
Insomma, se mai mi è piaciuto imparare - partendo dal presupposto di avere sempre qualcosa da imparare - qui me ne sato davvero togliendo la voglia!

martedì 7 gennaio 2014

Se dovessi andare su un’isola deserta…

E’ definitivo, se dovessi trasferirmi su un’isola deserta, porterei libri e cioccolato. Mi ronzava in testa questo giochino (Se dovessi trasferirti su un’isola deserta a cosa non potresti rinunciare?) durante le ore di volo per raggiungere nuovamente la Cina.
Trasferirsi in questa moderna metropoli non è esattamente ritrovarsi sperduti  in mezzo al mare, all’ombra di una solitaria palma, lo so; ma il limite implacabile dei 20  (pidocchiosi, aggiungo io) kg, ti costringe a fare un po’ di cernita.
In più ci si mette lo spauracchio della dogana cinese, che ovviamente (ma forse non è così ovvio se ci sono tanto di cartelli promemoria) non accetta sangue  e materiali organici (!), terra, droghe, carcasse di animali (perchè notoriamente tutti si potrebbe imbarcare in valigia il cadavere di criceti/gatti/cani/canarini…) carne e derivati ( e qui ci avventuriamo su un terreno minato, perchè la tentazione del salame, o del prosciutto, è veramente irresistibile per noantri italioti), fromage…
Ordunque, tenendo ben presente questi vincoli, il giorno 2 gennaio vagavo per casa tentando di chiudere i bagagli dopo accurato controllo sulla bilancia, distribuendo i libri miei e dei pargoli nel modo più equilibrato possibile (e per fare questo io ho espatriato un solo, dicasi uno solo, paio di scarpe in più – sacrificio immane, si sappia), quando suona il campanello.
Apro la porta e mi trovo un corriere sorridente dietro un pacco cubico 50x50x50, proveniente dall ridente Baviera… e contenente nell’ordine: 4 scatole di cioccolatini di circa 500 gr. l’una, un pezzo di speck, un intero salame ungherese, due confezioni diripieno ai semi di sesamo per produrre squisiterrima torta tedesca, due rotoli ai semi di sesamo (una chilata in tutto) già preparati. Con grande fortuna dei nostri amici è arrivato tutto quando c’era ancora qualcuno in grado di aprire la porta; con grande patema mio mi sono trovata di fronte al dilemma peso/dogana incombente.
Come è andata a finire?
Passo primo: defenestrare dalle valigie la macchina per l’aerosol, la caraffa filtrante per l’acqua, un pacco di caffè e un vestito mio… ricominciare il balletto pesa/distribuisci.
Passo secondo: non cedere alla tentazione di mettere qualcosa nel bagaglio a mano, che deve passare sempre e comunque attraverso i raggi x.
Passo terzo: a fine viaggio, dopo i controlli dei passaporti, attraversare con nonchalanche il punto dogana dell’aeroporto, trainando i bambini con fare un poco stanco ma sorridente, guardando pure negli occhi una delle guardie che – diciamolo – stava a chiacchierà amabilmente coi colleghi… et voilà… pronti per ricominciare la chinese life… buon anno…