domenica 17 aprile 2022

La libertà è (una) pazzia


 

Questa volta il giro per arrivare al romanzo è stato più contorto ed è partito dalla musica, dalla colonna sonora del film, per intenderci.

Ascoltata la musica, composta da un cantante che amo molto – Asaf Avidan – ho guardato per curiosità il film, scoprendo che si trattava della trasposizione cinematografica di un romanzo, oltretutto caso letterario in Francia, grande successo blablabla…

Non sono un lettore che segue le novità, resto sempre molto indietro le ultime uscite, i premi letterari, le recensioni … quindi non sapevo nulla di questa scrittrice esordiente francese.

La storia è affascinante, tutta al femminile, ambientata nel luogo più castrante che si possa immaginare: un ospedale per alienate, che una volta all’anno apre i battenti ai curiosi borghesi, organizzando un ballo.

Il ballo delle folli, appunto.

Attorno a  questa occasione si catalizzano e amalgamano le ambizioni del medico che dirige la clinica – quasi una star negli ambienti specialistici – che così può mostrare i suoi successi; si raggrumano i sogni, le ansie e le aspettative delle alienate, che dirigono i loro pensieri su costumi, preparativi e attese – non si sa se più benefiche o destabilizzanti; si concentrano le pruderie delle persone normali, che normalmente dopo aver fatto rinchiudere un parente sarebbero  ben felici di non dovere più pensare alla sua sorte imbarazzante, ma sono galvanizzate dal poter passeggiare dentro uno zoo umano, fatto di donne strambe, a volte sorprendentemente belle, nonostante la loro mente si sia incrinata per una delusione, un lutto, uno stupro, un torto non risarcito…

La protagonista, Eugenie, finisce in questo ospedale, proprio quando sta organizzando la sua fuga per lasciare la casa dei genitori, desiderosa di seguire un progetto di vita in cui il suo dono – parlare con i morti – non dovrebbe più essere nascosto.

Verrà tradita doppiamente da due persone che la amano, ma che per loro natura non possono andare contro il capofamiglia.

In ospedale incontrerà l’altra protagonista: Genevieve, la capo infermiera, che vedrà sgretolarsi a poco a poco la sua ordinatissima e disciplinata vita – unico elemento dissonante in tanta regolarità, la corrispondenza appassionata e sistematica con la sorella morta in giovane età.

Ed è proprio il “fantasma” della sorella di Genevieve, che sarà il veicolo per far evolvere gli eventi in un modo diverso per Eugenie, altrimenti condannata a vivere per sempre chiusa nell’ospedale.

La presenza degli spiriti è, però, solo un velo: questa non è una storia di spiriti, ma  un testo che muove una critica al mondo maschilista e patriarcale che tante donne, in passato, ha costretto a vivere sacrificate, castrate, rinunciando alla propria identità e inclinazioni.

Sotto questo punto di vista il romanzo è appassionato e appassionante; solo, non mi ha convinto la pedissequa esternazione di questo tema, nel senso che ci sono ampi passi in cui, attraverso i ragionamenti dell’uno o l’altro dei personaggi, viene mossa una critica di stampo femminista, che sa quasi di pamphlet, e interrompe il ritmo narrativo.

I punti migliori sono quelli dove sono le azioni stesse, e le scene in cui sono coinvolti i diversi personaggi, che lasciano apparire spontaneamente quel clima di bonaria tolleranza e sufficienza con cui venivano trattate le donne, anche negli ambienti più colti e, proprio per questo, più retrogradi. In questo l’autrice è abile e non avrebbe bisogno dei passi più “didascalici”, come se avesse paura che il suo punto di vista potesse essere non compreso a fondo.

Un esempio di scena riuscita è quella del confronto tra Genevieve, che vive la sua professione con il rigore di un voto e la dignità che le viene da un’esperienza ventennale, e il dottor Charcot, autocompiaciuto e borioso ometto che liquida l’infermiera come l’ultima delle inservienti dopo che lei ha osato esprimere un dubbio sulla diagnosi di Eugenie.

Il film, però, nella sua ansia didascalica ed esplicativa, è addirittura ancora più pesante, al punto che la scena che ho appena descritto, che si svolge con un dialogo già pronto all’uso e perfetto per rendere il colpo che subisce Genevieve, viene addirittura conclusa con uno Charcot che non solo non dice nulla di quello che già lo sceneggiatore aveva a disposizione, e che ricorda a Genevieve, capoinfermiera, di svuotare i pitali delle alienate. Ma questa è un’altra storia, o meglio: un’altra recensione.