mercoledì 27 gennaio 2021

Sempre...

 Sapevo che da qualche parte c'era ancora questo scritto -  vecchio - perchè i figli ormai potrebbero prendere in braccio me; sempre vivo - perche', a distanza di tanto tempo, ci sono le stesse sensazioni.

Quando sento l'espressione "ragionare di pancia", per me è questo: ad un certo punto i pensieri vengono meno e parla un punto imprecisato che sta a metà tra il cuore e il ventre e manda una scarica che mescola panico, lacrime e sofferenza, con l'indicibile sollievo di sapere che noi, qui, oggi, siamo in salvo. E in debito.

"Qualche giorno fa ho accompagnato una delle mie classi a Fossoli, vicino Carpi, a visitare il campo di prigionia e smistamento che ancora sopravvive dopo tanti anni. Abbiamo ascoltato la guida raccontarci delle varie trasformazioni subite, gli eventi della storia tra il 1942 e la fine degli anni ’60 che sono passati attraverso le stanze di quei casermoni.

Poi ci siamo spostati a Carpi, al Museo monumento del deportato: tanto cemento, graffiti, parole incise nei muri, poche immagini significative ed eloquenti… insomma, abbiamo fatto il nostro lavoro di docenti per coinvolgere i ragazzi nella giornata della Memoria.

Sole… quando siamo usciti dal museo ho avvertito il bisogno di sentire il tiepido calore del sole invernale sulla faccia.

http://blogs.dotnethell.it/Mark/ShowImage.aspx?ID=6483
Quando finalmente sono arrivata a casa ho avuto il bisogno fisico di annusare i miei figli, di covarmeli con gli occhi, di sentire il peso del piccolo mentre mi si addormentava in braccio per il riposino pomeridiano… Non riesco, da quando ci sono loro, a passare indenne attraverso questi giorni di fine Gennaio: preparo le lezioni e mi si stringe lo stomaco; riguardo le letture da Primo Levi che devo presentare in classe e dopo faccio fatica ad addormentarmi…

Non riesco a spiegare la sensazione remota e orribile di afferrare, quasi inconsciamente, l’orrore, l’angoscia, lo smarrimento – si riescono a trovare parole adatte? – che devono avere provato milioni di madri che sono passate attraverso le vicende della deportazione, delle leggi razziali, della guerra, del nazi-fascismo… Le preoccupazioni per la sorte dei propri figli, il dolore per la separazione forzata, la paura – la certezza? – di non rivederli… E’ qualcosa che non posso spiegare ai miei alunni. E’ qualcosa che non so nemmeno se ho il diritto di provare, visto l’epoca privilegiata in cui vivo e sono cresciuta. Ma forse ognuno di noi ha il suo personale modo per cercare di capire, e ricordare, fatti così spaventosi e difficilmente razionalizzabili… (scritto il 27 gennaio 2008).

 

sabato 16 gennaio 2021

Le parole a cui si torna sempre

“Gli dei avevano condannato Sisifo a far rotolare senza  posa un macigno sino alla cima di una montagna, dalla quale la pietra ricadeva per azione del suo stesso peso. Essi avevano pensato, con una certa ragione, che non esiste punizione più terribile del lavoro inutile e senza speranza. […]

Si è già capito che Sisifo è l’eroe assurdo, tanto per le sue passioni che per il suo tormento. Il disprezzo per gli dei, l’odio contro la morte e la passione per la vita, gli hanno procurato l’indicibile supplizio, in cui tuttol’essere s’adopra per nulla condurre a termine. E’ il prezzo che bisogna pagare per le passioni della terra. […]

Sisifo guarda, allora, la pietra precipitare, in alcuni istanti, in quel mondo inferiore, da cui bisognerà farla risalire verso la sommità. Egli ridiscende al piano. E’ durante questo ritorno che Sisifo mi interessa. […] Vedo quell’uomo ridiscendere con passo pesante, ma uguale, verso il tormento, del quale non conoscerà la fine. .. In ciascun istante, durante il quale egli lascia la cima e si immerge a poco a poco nelle spelonche degli dei, egli è superiore al proprio destino. E’ più forte del suo macigno” (Albert Camus, Il mito di Sisifo, Ed. Bompiani1980, pagg. 117-119)

Valerie Honnart. Sisifo felice

L’ho letto l’ultimo anno di liceo, dopo avere battagliato con due romanzi dello stesso autore, letti con amore-odio per i panorami che tracciavano, così lontani da tutto ciò che avevo frequentato fino ad allora.

Ne ho ricavato una sensazione piacevole e terrificante insieme: di sicurezze che crollano, di prospettive che si aprono, di sorpresa e riconoscimento… Come sentire parlare una lingua straniera, ma accorgendosi che il significato arriva lo stesso… Non alla testa; o meglio: ci arriva passando attraverso il cuore, il senso, il sentire…

L’azzardo, nella rilettura, è il rischio di non ritrovare più tutto ciò; o di accorgersi che gli anni hanno cambiato occhi e cuore, fatto crescere – irrigidire – la testa, cosicchè quelle parole sono davvero diventate estranee.

Cosa mi era piaciuto di Sisifo? Cosa avevo assorbito, magari semplificando, estrapolando, forse fraintendendo? L’idea di una dignità che non ha paura del fallimento; anzi, di una dignità che si acquista tanto più può sembrare vana e assurda la battaglia che si sta per affrontare. E che pure è inevitabile… L’essere uomini, deboli e scherniti dagli dei, ma capaci di affrontare a testa alta un supplizio eternamente futile. E’ ancora tutto lì: nel libro. Nelle parole. Nel mio cuore. (18.06.2010)

Questo lo scrivevo veramente una vita fa, sul vecchio blog che allora curavo regolarmente. 

Lo sottoscrivo ancora oggi, perchè queste parole tornano sistematicamente, nelle mie giornate, nei momenti di sconforto, di stanchezza. Mi ci appiglio, le recito, ormai automaticamente, vecchie amiche e, nello stesso tempo, nuove, portatrici della stessa, intatta, sensazione della prima volta che le ho sentite.

 

venerdì 8 gennaio 2021

Sinceramente vostro...

Leggere epistolari è difficile; mi sento il terzo incomodo e ci vuole impegno, perchè non si possiede il codice di comuni allusioni ed esperienze che lega gli interlocutori. Nello stesso tempo, questo è anche il bello degli epistolari, che ti costringono a seguire e raccogliere tracce, per creare una figura a tutto tondo, là dove un autore, o un personaggio pubblico, resterebbero lontani e "ufficiali", senza la carne, il respiro, (la m... direbbe Céline) che si può intravedere nelle lettere.



E' da poco che leggo Céline e ogni testo aggiunge un tassello alle impressioni che ricevo dalla sua scrittura. Può assere aggressivo, volgare, fulminante, ma sempre in un angolo continuo a sentire un punto cedevole, una brandello di pelle scoperta, con l'impressione che lo scoppiettio della scrittura, le salve di pallini lanciati a ventaglio su uomini, cose, Storia ed eventi, manie e miserie, sia un disperato tentativo di difendere la parte più vulnerabile di sè.
Anche le piccole bugie, che scrivendo possono almeno disporre di più tempo per essere smascherate, quelle che magari si dicono prima a se stessi, restituiscono l'uomo, come in questo passo. Leggerlo sapendo che l'"amica" - la povera disgraziata -  di cui l'autore sta parlando, è la donna che rimarrà con lui per tutti gli anni a venire, una volta di più, come dicevo, lascia la sensazione di spiare attraverso il buco della serratura...

"                                                                                                     11 settembre 1937
Cara Karen,
sono molto contento che venga presto a Parigi. Non vedo l'ora di rincontrarla. E' passato tanto tempo. Mi rammarico di non poterle offrire la stanza da me. Ci sta un'amica, una ballerinetta, da un po' di tempo, malata e ferita al ginocchio (era per strada).Non posso mandarla via... non adesso. Non è un'amante! Lei mi conosce - solo una povera disgraziata."

Louis-Ferdinand Céline, pag. 209-210