domenica 7 luglio 2019

Corinna

I ricordi si legano ad alcuni oggetti, attorno ai quali, negli anni, si sono raccolte le storie che compongono la tua vita. 
Non ho potuto sentirle da te: sei scomparsa quando avevo tre anni; mi sono state riportate da altri e l'immagine che mi restituiscono è frammentaria, forse anche inesatta, perchè dove non arrivano i racconti, si è insinuata la mia immaginazione.
Col tempo, poi, crescendo, passando attraverso le stesse esperienze che, in parte, sono state tue – come di tante donne - i figli, la famiglia, un marito, il lavoro... ho cominciato a fare raffronti, a trovare similitudini e differenze, a volte a trarre conforto e insegnamento. Ma forse tu non saresti d'accordo, chissà, o forse su certe storie avresti taciuto, per concentrarti su altre che nessuno mi racconterà.
Il primo oggetto è una fotografia.
Alle spalle uno sfondo carta da zucchero, girata di tre quarti, su un grande cuscino quadrato, bianco, sta seduta una bambina, lei stessa tutta vestita di lana bianca;
 le calzette traforate stringono due gambotte paffute, con le belle pieghe – che i vecchi chiamano “braccialetti”, ma altro non sono che sano grasso infantile - a indicare una bimba in piena salute.
Occhi rotondi verde-marrone guardano l'obiettivo, un po' tristi; i capelli ondulati, castani, fini e morbidi come solo i capelli dei bambini possono essere.
Quei riccioli curvi, pettinati insistentemente – immagino con gesti nervosi - fino all'ultimo, perchè prendessero la giusta voluta, fino a far perdere la pazienza al fotografo che avrebbe detto un “Adesso basta, signora!” molto esasperato – preoccupato che io potessi agitarmi prima ancora di cominciare a scattare.
Così mi è stato raccontato; ci tenevi in modo particolare a quella fotografia, di me piccola; l'avevi voluta assolutamente, curando ogni dettaglio – abito, pettinatura, le scarpette di morbida pelle bianca, impunturate, coi lacci, anche loro accomodati in perfetta simmetria; e poi il fotografo, uno dei più bravi, allora, con uno studio vero, con lo sfondo, le luci, la poltrona di vimini...
Corinna era tanto buona, tanto, ma quando decideva qualcosa – quando teneva a qualcosa o a qualcuno – non sentiva ragioni e andava per la sua strada, mi dicevano: diventavi ostinata e dura.
Così mi raccontavano; ed immagino che tu abbia bellamente ignorato la stizza e l'impazienza del fotografo, per continuare nei tuoi ritocchi fino all'effetto voluto, cristallizzato nello scatto che ho sotto gli occhi: i colori fanno sì che l'immagine non abbia quella perfezione fiabesca e senza tempo dei ritratti di bambini, quelli in bianco e nero, che fanno venire in mente epoche felici e lontanissime, in cui tutto è lindo e ancora intonso. Ancora da avverarsi.
Mi dice, però, l'affetto che nutrivi per me, manifestato con quelle cure minute, d'altri tempi, dedicate a tanti particolari che io, nell'epoca delle foto digitali e dei telefoni, non ho certo speso per le immagini dei miei figli.
Loro avranno tantissimi scatti – sempre che nella corsa che sono le nostre giornate, non ci si dimentichi di salvare i tanti bit stivati nelle varie memorie – di certo naturali, spontanei, numerosissimi; tu hai cercato di creare il momento perfetto, di ritrarre al meglio l'amata nipote, sapendo che quell'istante di infanzia, bianca e stupenda, è un soffio; e catturarlo per sempre val bene far arrabbiare un fotografo, perchè avevi solo uno scatto e non poteva che esser perfetto... (continua)