I
ricordi si legano ad alcuni oggetti, attorno ai quali, negli anni, si
sono raccolte le storie che compongono la tua vita.
Non
ho potuto sentirle da te: sei scomparsa quando avevo tre anni; mi
sono state riportate da altri e l'immagine che mi restituiscono è
frammentaria, forse anche inesatta, perchè dove non arrivano i
racconti, si è insinuata la mia immaginazione.
Col tempo, poi,
crescendo, passando attraverso le stesse esperienze che, in parte,
sono state tue – come di tante donne - i figli, la famiglia, un
marito, il lavoro... ho cominciato a fare raffronti, a trovare
similitudini e differenze, a volte a trarre conforto e insegnamento.
Ma forse tu non saresti d'accordo, chissà, o forse su certe storie
avresti taciuto, per concentrarti su altre che nessuno mi racconterà.
Il
primo oggetto è una fotografia.
Alle
spalle uno sfondo carta da zucchero, girata di tre quarti, su un
grande cuscino quadrato, bianco, sta seduta una bambina, lei stessa
tutta vestita di lana bianca;
le calzette traforate stringono due gambotte
paffute, con le belle pieghe – che i vecchi chiamano
“braccialetti”, ma altro non sono che sano grasso infantile - a
indicare una bimba in piena salute.
Occhi
rotondi verde-marrone guardano l'obiettivo, un po' tristi; i capelli
ondulati, castani, fini e morbidi come solo i capelli dei bambini
possono essere.
Quei riccioli curvi, pettinati insistentemente –
immagino con gesti nervosi - fino all'ultimo, perchè prendessero la
giusta voluta, fino a far perdere la pazienza al fotografo che
avrebbe detto un “Adesso basta, signora!” molto esasperato –
preoccupato che io potessi agitarmi prima ancora di cominciare a
scattare.
Così
mi è stato raccontato; ci tenevi in modo particolare a quella
fotografia, di me piccola; l'avevi voluta assolutamente, curando ogni
dettaglio – abito, pettinatura, le scarpette di morbida pelle
bianca, impunturate, coi lacci, anche loro accomodati in perfetta
simmetria; e poi il fotografo, uno dei più bravi, allora, con uno
studio vero, con lo sfondo, le luci, la poltrona di vimini...
Corinna
era tanto buona, tanto, ma quando decideva qualcosa – quando teneva
a qualcosa o a qualcuno – non sentiva ragioni e andava per la sua
strada, mi dicevano: diventavi ostinata e dura.
Così
mi raccontavano; ed immagino che tu abbia bellamente ignorato la
stizza e l'impazienza del fotografo, per continuare nei tuoi ritocchi
fino all'effetto voluto, cristallizzato nello scatto che ho sotto
gli occhi: i colori fanno sì che l'immagine non abbia quella
perfezione fiabesca e senza tempo dei ritratti di bambini, quelli in
bianco e nero, che fanno venire in mente epoche felici e
lontanissime, in cui tutto è lindo e ancora intonso. Ancora da
avverarsi.
Mi
dice, però, l'affetto che nutrivi per me, manifestato con quelle
cure minute, d'altri tempi, dedicate a tanti particolari che io,
nell'epoca delle foto digitali e dei telefoni, non ho certo speso per
le immagini dei miei figli.
Loro avranno tantissimi scatti – sempre
che nella corsa che sono le nostre giornate, non ci si dimentichi di
salvare i tanti bit stivati nelle varie memorie – di certo
naturali, spontanei, numerosissimi; tu hai cercato di creare il
momento perfetto, di ritrarre al meglio l'amata nipote, sapendo che
quell'istante di infanzia, bianca e stupenda, è un soffio; e
catturarlo per sempre val bene far arrabbiare un fotografo, perchè
avevi solo uno scatto e non poteva che esser perfetto... (continua)
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