"Considera l'aragosta" è il primo libro di David Foster Wallace
che leggo e sono rimasta spaesata di fronte alle note lunghissime, a
volte quasi capitoletti aggiuntivi rispetto il testo principale.
In alcuni casi ho avuto
l'impressione che proprio qui si dicessero le cose più
importanti; come
sbirciare dal buco della
serratura, su invito dello scrittore, per poter guardare più a
fondo, più da vicino.
Anche grazie alle note ho
capito perchè, per tutta la lettura, ho sentito come un dolore
sordo, amichevole, ma disturbante e minaccioso allo stesso tempo: un
cerchio stringente alla testa, rintronata da voci che parlavano tutte
assieme.
Almeno in questo libro le
numerose domande e risposte e contro-domande e contro-risposte sono
la voce caratteristica di DFW; le riflessioni minuziose e
lenticolari, sfociano sempre in un dubbio, in una ulteriore domanda,
o alla domanda definitiva, di cui sappiamo non ci piacerà la
risposta. E, leggendo, non ho potuto fare a meno di sentire altre
letture e altre voci.
Non ho studiato a fondo
la biografia di DFW e non so se abbia letto Pirandello e Svevo: forse
sì, essendo un autore di grande cultura; forse no, non credo siano
parte integrante dei piani di studio nelle scuole statunitensi.
Gli sarebbero piaciuti? - mi domando - O si offenderebbe nell'essere associato a loro?
Gli sarebbero piaciuti? - mi domando - O si offenderebbe nell'essere associato a loro?
I passi che mi hanno
portato ad avvicinare questi tre improbabili “amici”, sono stati
automatici e poco ragionati, e non so se riuscirò a spiegarli e
ricostruirli.
I due autori che ho
citato riflettono, nei loro scritti, su ciò che intendano per vita,
pazzia, salute, in un modo che, per la loro epoca, era nuovissimo e,
almeno in Italia, inedito.
Sono io o sono qualcosa
di diverso a seconda dello sguardo degli altri? E ancora: sono io ad
essere pazzo/malato o sono gli altri che mi vedono così? O meglio:
la mia pazzia e la tua salute sono interscambiabili, basta che cambi
il punto di vista e io sono sano e tu sei matto. In sottotraccia,
quando si leggono questi scrittori, si avverte un sorriso – mesto o
sornione a seconda dei casi – che lascia intendere che, pazzo o
malato che tu sia, in qualche modo hai raggiunto l'essenza delle
cose. E, per converso, si lascia intuire come i “sani” - che sono
fondamentalmente coloro che non si pongono domande – in realtà
siano vuoti e faciloni.
In Svevo si avverte
benissimo nelle parole con cui descrive la “salute” della moglie:
“Nel mio animo si formò
una speranza, la grande speranza di poter finire col somigliare ad
Augusta ch’era la salute personificata... Essa sapeva tutte le cose
che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano di natura.
Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare!
Tutt’altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al
loro posto. E queste cose immobili avevano un’importanza enorme:
l’anello di matrimonio, tutte le gemme e i vestiti; il verde, il
nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava a
casa e quello di sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare
di giorno, né quando io non m’adattavo di mettermi in marsina.
E le ore dei pasti erano tenute rigidamente e anche quelle del sonno.
Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto. Di domenica essa andava a Messa e io ve l'accompagnai talvolta per vedere come sopportasse l'immagine del dolore e della morte. Per lei non c'era... C'erano un mondo di autorità anche quaggiù che la rassicuravano. Intanto quella austriaca o italiana... Poi v'erano i medici... Io ne usavo ogni giorno, di quell'autorità: lei, invece, mai. Ma perciò io sapevo il mio atroce destino, quando la malattia mortale mi avesse raggiunto, mentre lei credeva che anche allora, appoggiata solidamente lassù e quaggiù, per lei vi sarebbe stata la salvezza.
Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m’accorgo che, analizzandola, la converto in malattia.”.
Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m’accorgo che, analizzandola, la converto in malattia.”.
Porsi le domande, e darsi
le risposte, è un punto cruciale in DFW; a volte il vortice dei
quesiti può letteralmente paralizzare, come quando si gioca a
tennis. E' per questo, probabilmente – secondo DFW - che noi
schiappe siamo diversi dai grandi campioni: essi non pensano, ma
giocano con un istinto infallibile, isolando qualunque voce
interiore, anche nelle situazioni più stressanti, quando si rischia
il tutto per tutto.
Oppure le domande possono
essere subdole e insistenti, come quando ci si interroga sull'onestà
di intenti e autenticità di un candidato alle elezioni
presidenziali, col dubbio che di autentico e onesto, in fondo, non ci
sia nulla, rischiando di rimanere bloccati al momento del voto. O
peggio, lasciando perdere e non votando.
Insomma, non ho potuto
fare a meno di sentire la voce di Pirandello, quando dice:
“...bisogna
che lei fermi un attimo in sé la vita, per vedersi. Come davanti ad
una macchina fotografica. Lei si atteggia. E atteggiarsi è come
diventare una statua per un momento. Lei non può conoscersi che
atteggiata: statua: non viva. Quando uno vive, vive e non si vede.
Conoscersi è morire.”
Non
c'è alternativa: o ci si interroga, e si “muore”; o si vive, e
non ci si interroga.
In DFW, allegre e poste
con piglio di volta in volta ironico, sarcastico, graffiante,
desolato o malinconico, ci sono diverse domande e, in un angolino, la
percezione che chi le pone sospetti, o peggio, veda chiaramente, la
menzogna, l'imbroglio, o semplicemente la terrena pochezza
dell'individuo.
Quando lo scrittore si
trova tra attempate signore, che guardano sgomente la cronaca
dell'attentato alle torri gemelle, o quando vaga tra gli stand del
festival delle aragoste, si avverte potente il senso di estraneità
(forse, in qualche momento, di vero e proprio ribrezzo) verso gli
esseri umani che ha intorno. Tanto più estranei, perchè nel suo
riflettere incessante e acuto e impietoso, DFW sa che sono simili a
lui. Solo che mentre gli altri, apparentemente, riescono a
sopravvivere all'idea che un'aragosta venga bollita viva, o all'idea
che un politico possa mentirti per il proprio tornaconto, si intuisce
che lui fa un'enorme fatica, solo a malapena mascherata
dall'umorismo, che tanto rende piacevole la lettura.