Posso dire tranquillamente di
avere letto questo libro (Il complesso di Telemaco, Massimo Recalcati, Feltrinelli Editore, 2013) sicura di trovarci storture e una lettura
superficiale dell'Odissea.
Tutto è nato dal fatto, capisco ora,
che leggendo i giornali – e le vicende politiche di questi anni –
ho sempre sentito associato il nome di Telemaco, nella lettura data
da Recalcati, a un personaggio che, a mio vedere non ha nulla a che
fare con il figlio di Ulisse. E non agisce e non ha gli ideali del
figlio che attende che la sua “eredità” ritorni dal mare, per
farla propria e portarla avanti. Quindi avevo incolpato di questo
travisamento, per riflesso, l'autore del saggio.
Questo è il
primo libro di Massimo Recalcati che leggo e, dopo averlo sentito
parlare in televisione, capisco perchè sia un autore molto amato.
Psicanalista lacaniano (nessuna sapienza, basta un giro veloce in
rete per acculturarsi su ciò) ha un rapporto speciale e musicale con
le parole, cura e rimedio, creatrici di senso e di vita.
“...
essendo l'umano un essere di linguaggio, essendo, la sua casa, la
casa del linguaggio, il suo essere non può che manifestarsi
attraverso la parola... la vita si umanizza e si differenzia da
quella animale attraverso la sua esposizione al linguaggio e all'atto
di parola” (pag. 30).
Gli piacciono, le parole, e gli piace
ascoltarsi mentre le pronuncia, le scrive, esplorando assonanze e
consonanze che aiutano a ribadire i concetti. Un'idea – sia in
televisione sia sulla pagina - viene espressa, variata, ripresa, in
un lento moto avvolgente.
L'effetto seduttivo è innegabile – e
in televisione è percepibile in modo evidente, assecondato anche
dalla platea, sempre stranamente (?) a predominanza femminile.
Ma
torniamo a Telemaco: nel libro diventa l'immagine di un nuovo
rapporto tra padri e figli, là dove la figura del padre, insegna
Lacan (e Recalcati, of course), sta evaporando, lasciando una
generazione di figli che attendono
il ritorno di colui che porterà la giusta legge, facendo di Telemaco
l'erede per eccellenza.
A questi manca il padre, ma Ulisse è
sempre presente nei suoi pensieri, il ricordo è vivo, nonostante sia
partito quando il figlio era piccolissimo. La madre – col suo
comportamento e il suo “parlare” il padre – mantiene vivo il
ricordo di Ulisse e, con le sue parole, ne fa un punto di
riferimento: lontano, assente, forse morto, ma potente. Al punto che
Telemaco, prima di rassegnarsi, parte alla sua ricerca; o almeno alla
ricerca di notizie certe, che permettano, poi, di farsi erede nel
giusto modo.
Non so bene se, in ambito psicanalitico, questa
teoria sia stata accettata, cioè considerata valida secondo i canoni
della disciplina; io, da prof. di lettere, che ero convinta di
leggere una maldestra strumentalizazione di un'opera, magari letta
solo parzialmente, devo riconoscere che tutto tiene. I vari punti
della teoria poggiano su una lettura amorevole e rispettosa
dell'Odissea.
E per un
autore che si autocita una pagina sì e una no, devo dire che è
ammirevole.
Ne consegue che il noto politico che, a suo tempo, si
inserì d'ufficio nella generazione-Telemaco, probabilmente reduce
non tanto dallo studio dell'Odissea, quanto di questo testo di
Recalcati, non ha letto attentamente il libro.
Io ho il sospetto
che sia stato preso solo ciò che interessava; per non dire – cosa
che sospetto ancora più fortemente – il libro non è stato letto
per intero. Se no si sarebbe arrivati a questo passo:
“Telemaco
esige giustizia “adesso”!... Non invoca una Legge astratta, ma
una giustizia che protegga la sua casa... E' alla ricerca del senso
della legge della Parola. I Proci hanno calpestato questa
Legge.
Nell'Odissea il mondo dell'adolescente è rappresentato, al
tempo stesso, da Telemaco e dai Proci. Questi ultimi sono, infatti,
coetanei di Telemaco, giovani principi come lo è lui stesso. Ma la
loro giovinezza calpesta la legge del padre, umilia la sua gente,
dichiara Ulisse morto, togliendogli in questo modo ogni forma di
rispetto. La rottamazione del padre procede violentemente...
I
Proci... calpestano la Legge non scritta dell'ospitalità che nel
mondo greco è l'incarnazione più profonda della Legge della parola.
Essi vogliono che la regina sposi uno di loro per prendere il posto
di Ulisse e impedire che Telemaco erediti il regno del padre. Non
riconoscono la Legge che limita il godimento.” (pag.
115-116).
L'autore non ha preso le distanze dalla appropriazione
(a mio avviso indebita), perlomeno non mi risulta, anzi. Diversamente
avrebbe perlomeno abbozzato un “Complesso di Antinoo”.