Chiudevo il penultimo post tentando di immaginare cosa sarebbe successo in Italia,
se si fossero adottate le misure restrittive cinesi per combattere il
Coronavirus.
In
parte ho indovinato - siamo tendenzialmente indisciplinati – in
parte, per fortuna, sta venendo fuori il meglio, da parte di tanti... E'
presto e dovremo ancora sopportare, credo, la “quarantena”, ma
voglio essere fiduciosa.
La
situazione è nuova per tutti, quindi anche per chi lavora nella
scuola.
E'
un terreno delicato: lo sto vedendo dalle miriadi di post,
riflessioni, lamentele, che circolano in rete.
E' un terreno in cui
mi muovo: come genitore, come insegnante, come insegnante che
partecipa agli aspetti organizzativi della sua scuola.
Come
insegnante, grosso modo, posso ricostruire per fasi quello che è
successo, fino ad arrivare ad oggi.
Quando
le scuole, qui, hanno chiuso – 23 febbraio – la maggior parte di
noi, incredula e spaesata, ha pensato che si trattasse di pochi
giorni. Dal ministero stesso sono arrivate blande sollecitazioni ad
organizzarsi per la famigerata didattica a distanza, ma non essendoci
particolare emergenza, anche i dirigenti non si sono posti in modo
imperativo.
Per
quanto riguarda le mie classi, viste le attività svolte, il punto
del programma in cui mi trovavo, quello che avevo in progetto di
svolgere, ho assegnato poche attività (e ricordiamo che le scuole
non erano ancora chiuse in tutta Italia, ma solo in alcune regioni),
con l'indicazione dall'alto, che non si potessero considerare
obbligatorie.
Quando
siamo entrati nella seconda settimana, be', abbiamo cominciato a
sentire l'impellenza di ricevere anche riscontri dagli studenti. I
carichi di lavoro sono aumentati, perchè è aumentata l'ansia di
perdere tempo.
L'ho
percepito anche da genitore, nel senso che, grosso modo, l'andamento
delle richieste degli insegnanti dei miei figli, è aumentato, chi
più chi meno.
Anche
le sollecitazioni dal Ministero sono cambiate: la didattica a
distanza doveva essere attivata, sempre nel rispetto degli accordi
collegiali (ma quali? Non si è mai presentata una situazione simile.
E quando tener gli organi collegiali, se si dovevano limitare gli
assembramenti per evitare il contagio? Facciamo un bel Collegio
Docenti in presenza con 70 e passa insegnanti?). Così comincia lo
squagliamento: chi ritiene, comunque, di avere il dovere di far
proseguire la didattica, procede con consegne date attraverso i
canali a disposizione; qualcuno ricorda ai Dirigenti che nulla è
obbligatorio senza delibera del Collegio, quindi tutto rimane per un
po' nella sfera del “Siete caldamente invitati” e c'è chi non si
muove in assenza di disposizioni ufficiali. I sindacati,
interpellati, parlano anche di docenti “primi della classe” che si
sono mossi in anticipo e senza un indirizzo comune e concordato. Il
Bronx, insomma.
Poi
si arriva all'8 marzo e le cose precipitano; chiusura di tutte le
scuole. Didattica a distanza obbligatoria, non serve il parere degli
organi collegiali, tutti i docenti devono attivarsi. E, ciliegina
sulla torta, anche con video lezioni, differite o in sincrono.
Da
genitore, che dire? Ho figli grandi – uno alle medie e uno
all'ultimo delle superiori – già in grado di destreggiarsi con pc
e simili; frequentano scuole in cui sono stati abituati ad utilizzare
piattaforme varie, per cui, quando i docenti si sono attivati, sono
stata sicuramente contenta e non c'è bisogno che dia supporto, anzi: devo
sparire dalla stanza.
Una
perplessità – che devo tenere presente quando, da insegnante,
assegno attività - cinque ore di video conferenza sono un massacro.
Cinque giorni a settimana così – parlo delle superiori – cui si
aggiunge il pomeriggio a svolgere le consegne, tenendo conto che i
ragazzi non svolgono più nemmeno le due ore di Educazione Fisica e
devono ridurre al minimo le uscite, sono disumane. Anche malsane, per
certi aspetti. Fanno bene al programma, ma dicono che noi insegnanti
non abbiamo capito che questo momento è fuori da tutti i canoni e
se, da un lato, studiare significa conservare una routine, non può
nemmeno essere che diventi l'unica attività che si possa svolgere in
casa. Promemoria anche per me stessa.
Tutti,
però, genitori e docenti, si fanno prendere la mano: chi ancora non
vede attivate le video conferenze si preoccupa e invidia chi le fa.
Chi non le vuole fare viene guardato con sospetto. Un altro Bronx.
Da
insegnante sto ancora decidendo cosa esattamente significhi fare
didattica a distanza; al momento penso che sia un'espressione povera
di senso. Organizzo, studio, cerco di, preparare attività che i miei
alunni possano svolgere da soli (e già questo non è insegnare);
organizzo, cerco di, mi ingegno di tenere qualche ora di video
conferenza in cui interagire coi ragazzi. Salutarsi, sorridersi, poi,
certo, svolgere qualche correzione, affrontare qualche argomento, ma
non è semplice. Non tanto per le penose difficoltà di connessione:
condurre una comunicazione via Skype o altro è per l'80% del tempo
un tentare di mantenere buona la ricezione, figuriamoci quando si è
connessi in 20 o più (e quei venti sono adolescenti); quanto perchè
non si può riproporre in video lezione l'esatta cadenza delle
lezioni in classe. O almeno è l'impressione che ho avuto. Uso un'ora
per leggere dal libro e spiegare? C'è chi lo fa, ma mia figlia mi
racconta di tutto ciò che di diverso, dietro lo schermo, puoi fare
mentre il tuo prof. ti sta annoiando mortalmente a distanza. (e
quello dei “contro” è un altro capitolo della didattica a
distanza).
In
tutto questo c'è, di positivo, che si continua ad imparare; devo per
forza muovermi tra tutorial nell'utilizzo di app che non mi erano mai
servite (Hangout, Meet); devo preparare tutorial per gli studenti,
perchè anche se conoscevano la piattaforma Google Suite, non ne
avevano ancora esplorato tutte le potenzialità.
Tutto
questo genera differenze e crea possibili discrepanze tra ragazzi,
scuole, classi?
Assolutamente
sì.
Innanzitutto
non tutte le scuole sono attrezzate allo stesso modo; inoltre credo
che ci sia una differenza sostanziale tra ciò che i ragazzi sanno e
possono fare alle medie e ciò che bambini della primaria sanno e
possono fare a oggi (penso ad una classe di prima elementare. E alla
materna? Le maestre che didattica a distanza possono fare? Me lo
chiedo da ingnorante proprio).
Diamo
anche per buono che non tutti i docenti, da casa, abbiano la
possibilità di connettersi a lungo, abbiano un pc etc. (Penso ai
fuori sede che, magari, si sono attrezzati con chiavette, o usano
solo il cellulare, perchè normalmente utilizzano i pc della scuola).
Così come ci sono docenti più “smanettoni” di altri. Sono tutte
situazioni da risolvere, rimboccandosi le maniche.
Il
terzo ruolo che ricopro, mi ha dato una prospettiva ancora diversa su
questa situazione nuovissima e caotica.
La
scuola – e ormai se si gira sui siti delle varie direzioni
didattiche e istituti – si è organizzata formalmente, con
circolari e comunicazioni alle famiglie. Non è stato semplice
cercare di fissare delle “regole”: dove, come, quando realizzare
le attività e come informarne le famiglie. Assenze e presenze? Voti?
Quanto è responsabilità mia di docente, e quanto delle famiglie, il
mancato svolgimento del lavoro?
Per
alcune discipline sarà più difficile che per altre organizzarsi:
penso ai docenti di educazione fisica, arte, musica; penso a chi,
alle superiori, ha attività di laboratorio o pratiche. La didattica
a distanza non è la panacea. E la distanza deve durare il meno
possibile, soprattutto quella colmata dai mezzi telematici.
In
generale molti docenti sono partiti subito, senza aspettare
regolamentazioni; la velocità o meno delle dirigenze nel produrle ha creato ansie tra genitori, che hanno
visto “diverse velocità”, ma nei prossimi giorni tutto questo
dovrebbe attenuarsi.
Non
nascondo che in alcuni casi ho anche trovato resistenze e appelli al
sindacato, tanto da mettere in dubbio che si fosse tenuti a queste
forme di insegnamento.
Qui
mi trattengo; certo quando ci dicono “Allora siete in vacanza?”
è perchè qualche dubbio sulla voglia di lavorare lo facciamo
venire.
Ma
concludo.
Internet
e compagnia non sono la soluzione a tutti i mali. Resta un problema
enorme: e i ragazzi e le famiglie che non hanno strumenti
informatici?
Impossibile,
si dice; tutti hanno un cellulare.
Posso
anche essere d'accordo, ma non si possono svolgere determinate
attività da un cellulare: leggere quali compiti sono stati
assegnati, sì; magari assistere alla video chiamata, ma ci si ferma
qui.
C'è
la possibilità reale che qualcuno non partecipi proprio, per un mese
e passa a questa famigerata didattica a distanza? Credo di sì. Ed è
la distanza più grande da colmare.
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