Certe
volte penso che si potrebbe idealmente tirare una riga al centro del
foglio e scrivere, con bella calligrafia, il titolo di due colonne:
Cose che facevo (potevo fare) prima. Cose che faccio/devo fare ora
(e probabilmente farò per un bel po' di tempo.).
Quando
guardiamo la televisione, o ascoltiamo la radio, non manca mai il
messaggio istituzionale che ti ricorda cosa fare per combattere il
virus. In casa, i miei figli, la chiamano la propaganda: implacabile,
insistente, imposta, uniforme su tutte le reti, pubbliche e private.
Con
l'effetto collaterale di spingerti a cambiare canale, come una
pubblicità fastidiosa.
La
presenza del virus ce l'hanno ben presente, e francamente dopo otto
settimane in cui stanno reclusi, hanno capito di doversi lavare le
mani o coprirsi la bocca quando starnutiscono; hanno capito di dover
stare in casa e di dover usare mascherina e guanti quando escono.
Hanno capito che non ci si capisce un granchè e che sarà una lunga
convivenza.
Come
se poi, nel prima, non avessimo già alcune delle abitudini che
sembrano decisive in questo momento. Già, appunto; che abitudini
avevo, prima del coronavirus, che adesso sarebbero così deleterie? O
anche: cosa è cambiato e che nuove abitudini ho ora?
Mi
sono messa a pensarci su e ne è emerso il seguente quadro.
LAVARSI
LE MANI. Sorvoliamo sulle regole base: mi lavo sempre le mani prima
di mettermi a cucinare, indipendetemente da cosa stessi facendo
prima; mi lavo sempre le mani dopo esser stata alla toilette. Mi domando: prima del virus qualcuno passava direttamente dal water allo spritz o
ai fornelli? A quanto pare, potrebbe...
In
macchina ho sempre una confezione di salviette e quando risalgo dopo
aver caricato le borse della spesa del supermercato, mi pulisco le
mani, perchè ho toccato di tutto (magari due volte: una per mettere
la spesa nel carrello e una seconda alla cassa, anzi tre, per poi
mettere la merce nelle borse). Paranoia mia. Da adesso, però,
guanti; ma questo non toglie che continuerò a lavarmi.
Tastiera
del bancomat: ecco, non ho mai usato i guanti, ma di certo non mi
sarebbe mai venuto in mente di mettermi le mani in bocca dopo aver
digitato il tastierino.
D'ora
in poi, ovviamente, guanti.
BUSTE
DELLA SPESA. Non ho l'abitudine di appoggiare le borse
che prima sono state nel carrello, poi nel baule della macchina, sul
tavolo di cucina o, peggio, sui piani di lavoro. Non mi serve il
coronavirus per decidere che sono sporche e non è il caso che
entrino in contatto con le superfici su cui mangio o preparo da
mangiare, ma gli ultimi servizi al tg, in cui ho ascoltato saggi
consigli su come e dove mettere la spesa, mi fanno pensare che finora
fosse solo una paranoia mia.
COLPI
DI TOSSE, STARNUTI E ANNESSI. Notoriamente, prima del coronavirus,
nessuno di noi cercava di schermare naso e bocca quando tossiva; così
come nessuno di noi si è sfinito ad insegnare ai propri figli a
mettersi una mano davanti alla bocca per tossire.
Viceversa, non ci
siamo mai formalizzati se il nostro interlocutore non si preoccupava
di usare un fazzoletto, o non cercava almeno di girarsi di spalle, ma
lasciava allegramente partire uno starnuto di fronte a noi. Giusto?
Per
fortuna adesso c'è il coronavirus che ripristina un po' di bon ton,
e ci costringe ad essere civili.
SCARPE.
Altro illuminante servizio tg su come sia deleterio e foriero di
possibile contagio non togliersi le scarpe in casa. Anche qui scopro
altra paranoia di casa mia.
Senza
arrivare alla consuetudine cui ci eravamo assuefatti in Cina – dove
nell'ingresso metti a disposizione degli ospiti ciabatte di tela,
perchè la prima cosa che si fa, arrivando a casa di qualcuno, sulla
soglia, è togliersi le scarpe – da sempre giriamo scalzi o in
ciabatte e la calzature stanno nell'ingresso. Solo a me fa senso
l'idea di pestare in cucina con le scarpe che hanno solcato le
strade?Insomma, il coronavirus sta rivoluzionando le regole dell'igiene casalinga, che erano in declino,a quanto pare.
SPESA
AL SUPERMERCATO. Sorvoliamo sulle file all'ingresso, che nessuno di
noi ha mai visto e che, credo, ci accompagneranno a lungo.
Così
come una novità è la voce, gentile ma risoluta, che invita a non
sostare nelle corsie e a far presto, per permettere ad altri di
entrare.
Anche
qui mi viene in aiuto il mio lato un po' orso: da sempre ho una tecnica
per far velocemente la spesa e fare lo slalom velocemente tra le
persone (cosa che, adesso, ha la conseguenza di far sì che io non
intasi le corsie).
Parcheggio
il carrello in un punto strategico, possibilmente fuori dal via vai
delle persone, poi carico bracciate di prodotti e li deposito.
Solitamente in tre o quattro tappe riesco a spuntare tutte le voci
della lista e ad avviarmi alla cassa.
In
tempi di necessità, questa tecnica mi aiuta, ma posso garantire che
se anche le corsie non le intaso io, è sempre presente un esemplare
di una specie che potremmo definire Bradipo casalingo (non importa se
di genere maschile o femminile) così riconoscibile: andatura
leggermente curva, coi gomiti poggiati alla barra del carrello,
occhiale a metà naso per scorrere la lista della spesa, avanza
lentissimamente, esattamente in mezzo alla corsia, in modo che non si
passi ne' a destra ne' a sinistra, e scorre - a mo' di scanner -
tutte le scaffalature, guardando e di qua e di là. Quando ne avvisto
uno, l'unica è fare dietro front: nel tempo che impiego a finire la
spesa, a malapena sarà arrivato in fondo alla prima corsia.
Insomma,
il coronavirus non mi ha reso più tollerante o meno insofferente, ma nessuno è perfetto.
Siamo
arrivati, però, alla nota dolente. Se una serie di accorgimenti e
abitudini, sono abbastanza facili da adottare stabilmente – tanto
in parte vanno a sovrapporsi ad abitudini pregresse o a pregresse
manie – il distanziamento sociale è refrattario ad ogni sarcasmo.
E'
il rospo più duro da digerire, perchè sono due parole che hanno il
potere attrattivo di un buco nero. E come i buchi neri inghiottono
tutto ciò che entra nella loro sfera.
Distanziarsi socialmente, dove
non è possibile, implica il taglio di tante attività: scuola,
lavoro, teatro, cinema, divertimenti, sport, concerti dal vivo...
Tutto questo è diventato sinonimo di assembrarsi, perciò,
interdetto.
Informatica e tecnologia, in parte suppliscono, ma di
fatto viviamo sospesi, in attesa di... ri-prendere, re-incontrarci,
ri-partire, ri-cominciare... e qui comincia la lista delle cose che
NON facevo nel prima.
SCUOLA:
capitolo a parte.
LIBRI:
le biblioteche hanno chiuso (anche se manca pochissimo alla ripresa
dei servizi di prestito) e ho ceduto al prestito digitale. Solo
un'altra volta mi ero piegata all'ebook, perchè materialmente non
potevo riempire valigie di libri; in questi due mesi, in cui leggere,
ancora di più, era un'attività per me essenziale, ho fatto
l'accesso al prestito digitale, anche se odio leggere dagli schermi.
Più dell'onor potè il digiuno.
CAMMINARE:
stop totale, ne ho già parlato. Gli stop, però, ti aiutano a capire
cosa conta, e se una cosa ti manca, credo, allora conta veramente e
vale la pena aspettare per tornare a farla (che, poi, a ben pensare,
questo ragionamento vale anche per le persone, e la quarantena può
essere illuminante). Sono reduce da una specie di camminata virtuale,
in cui, sommando i km percorsi dai partecipanti all'iniziativa
(ognuno rigorosamente a casa sua) siamo arrivati a 1316 km.
Ho
aderito sentendomi un criceto in astinenza da ruota: non possiedo un
tapis roulant, un balcone o un giardino e ho totalizzato 6km girando
attorno al tavolo di sala (12 passi) e facendo avanti e indietro tra
sala e cucina (22 passi). Alla fine, però, la soddisfazione di
sentire le gambe pesanti è stata la stessa di quando rientro da una
sgambata Vignola-Savignano e ritorno. Anche qui: Più dell'onor, potè
il digiuno.
FAMIGLIA,
AMICIZIE, INCONTRI IN GENERE: sospesi. I mezzi digitali non mancano e
ci sono vari modi di tenersi in contatto.
Anche
i nonni, chi più chi meno, si è digitalizzato e con la scusa di
portare il pane o la spesa, visto che per fortuna, per ora si
difendono, non sono rimasti isolati.
Però...
però... questo tempo strano che ha sconvolto i ritmi e le
conuetudini, ha un impatto diverso su di loro. Allora si cominciano a
intravedere debolezze che avanzano, la fatica di adattarsi, persino
il rifiuto di prendere atto della realtà o di sottostare a certe
regole. Se anche la quarantena finirà, il tempo corre in avanti e,
per i tuoi cari – così come per te – non torna indietro. E,
virus o meno, le tappe della vita restano le stesse, anche se nel
prima, nelle corse e negli impegni frenetici, potevi dimenticarlo o
non pensarci. E questo resterà anche nel dopo, che piaccia o no.
Baci,
abbracci, strette di mano... ogni contatto sconsigliato, anche tra
familiari, soprattutto se c'è qualcuno che continua a lavorare e a
incontrare persone diverse.
E
mi sono scoperta, durante un film, o un documentario, a guardare le
scene in cui si vedono tante persone – fiere, code per entrare ad
una mostra, una stazione dei treni, - e a pensare: “Adesso non si
può fare, e chissà per quanto”.
Perchè
il cuore del prima e del dopo, per me, è questo: uscire e vedere lo
scarto impercettibile di chi sto per incrociare, perchè entrambi,
dietro le mascherine, abbiamo calcolato di mettere un po' di distanza
tra noi.
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