Quando
si inizia la visita a San Galgano, una delle prime informazioni che
si leggono sui pannelli espositivi, è la decisa presa di distanza da
tutto ciò che ha a che fare con i miti arturiani.
Mi
sono sentita un po' presa in castagna, perchè io ho convinto la
famiglia tutta, un poco incerta su questa escursione, magnificando la
bellezza suggestiva di una cattedrale gotica, che nasconde anche la
spada nella roccia: non ne sono pentita, ha funzionato e lo rifarei.
Io,
in particolare, desideravo vedere questo luogo per me, ormai, mitico:
dopo averlo studiato sui libri, averne viste le fotografie non vedevo
l'ora di passeggiare tra le navate aperte sul cielo.
Avevo
il batticuore avvicinandomi in auto: il momento in cui l'immagine
mentale - e sentimentale – di un posto, va a sovrapporsi al luogo
reale, è sempre un azzardo, non sempre vincente.
Alla
cattedrale ci si avvicina percorrendo un viale alberato; la mole dell'edificio quel giorno emergeva da una distesa
di spighe e fiori di achillea, ombrelli bianchi che creavano come un mare
argentato tutt'intorno.
Essendo
mattino non troppo inoltrato, l'aria era piena di cinguettii e voli
velocissimi di rondini, che tracciavano le loro traiettorie sui campi
e rasente i muri.
E'
stato come osservare un'immensa nave che si sia arenata in un mare
verde e argento. La tentazione di sbirciare all'interno, attraverso
la grata che protegge una delle porte delle navate laterali è fortissima, e fa
solo venire voglia di entrare al più presto.
E'
vero, non ci sono vetrate, giochi di luci colorate, rosoni o pale da
ammirare, ma la nudità scoperchiata
delle tre navate, dà un significato più completo a quello che si
studia sui testi di storia dell'arte. Ti raccontano che il gotico,
col suo slancio in altezza – reso possibile dai nuovi accorgimenti
che, scaricando i pesi lungo i costoloni, i contrafforti e le crociere delle volte,
resero le pareti meri riempimenti - rappresenta fisicamente lo
slancio dell'anima al cielo. Lo sguardo viene portato verso l'alto,
così come le preghiere.
Il
cielo, a san Galgano, non lo si deve immaginare: si offre allo
sguardo ed è il naturale traguardo degli occhi, mentre si
percorrono in lungo e in largo le navate. L'azzurro di smalto del
cielo sostituisce le vetrate a piombo, di cui non si sente la
mancanza.
Qualche rondine attraversa l'intersezione dei bracci e la
croce latina – che l'architettura finita avrebbe ricoperto di volte
– qui è disegnata in celeste, attraversata da qualche ciuffo di
nuvole: il Cielo non sembra così irraggiungibile e lontano, visto
così.
Da
una delle finestre laterali si intravede l'eremo di Montesiepi, cioè
la vera dimora di San Galgano e della sua spada nella roccia. Si
arriva all'eremo camminando lungo un sentiero ombreggiato, che sale
il fianco della collinetta e costeggia dei bei vigneti.
Galgano Guidotti, giovane di famiglia nobile, dopo una vita “dissoluta” e dopo aver praticato il mestiere delle armi, fu guidato dal volere dell'arcangelo Michele – che apparve al giovane in diverse occasioni – verso Montesiepi. Fu il cavallo di Galgano a deviare dalla strada e a portarlo nel luogo in cui, a rinuncia della sua vita passata, conficcò la propria spada nella roccia e si consacrò ad una vita di preghiera. La sua fama di eremita e santo di diffuse velocemente – visse in preghiera solo undici mesi, dopodichè morì di stenti, ma non prima di avere compiuto numerosi miracoli.
Dopo
la sua morte (1181), venne eretto l'Eremo, in cui Galgano riposa, e che
racchiude la spada nella roccia.
Che
è effettivamente conficcata nella roccia; ed è l'unico corrispettivo
reale di quanto viene narrato nei cicli bretoni (anche se lì la
spada è infissa in un'incudine, che poggia su un masso ed è destinata ad essere estratta).
I
rigorosi studiosi di cose ecclesiastiche non vogliono associazioni di
sorta con re Artù e compagni, posso capirlo. Ma da appassionata di
romanzi cavallereschi e delle avventure dei cavalieri della tavola rotonda, è molto
suggestivo pensare che una eco di questa spada abbia viaggiato
attraverso i racconti dei cantastorie, e le agiografie diffuse dai
monaci, arrivando alle corti di Aquitania e, da qui, a quelle di
Inghilterra. Chissà...
Mentre
rimugino su queste illazioni, a visita ormai finita, mi cade l'occhio
su un ragazzino, entrato nell'eremo con i genitori: se ne sta seduto
su una panca e guarda un video sul cellulare, completamente
indifferente a quello che ha intorno.
Lo
rivedo all'uscita, camminare incerto, con lo guardo fisso sempre allo
schermo, e inciampare sui gradini.
Forse
ho fatto male a riempire la testa dei miei figli con le storie
sull'abbazia, la spada e il cavalier Galgano (o Galvano), ma abbiamo
fatto quattro passi in un mondo a metà tra la fiaba, la storia e il
divino. Forse c'è il rischio di inciampare, stando a naso all'insù e testa tra le nuvole, ma mi pare decisamente un'alternativa migliore.
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