sabato 17 luglio 2021

Chiamarsi e riconoscersi

 Ho visto prima il film e poi sono approdata al libro. Le due cose si mescolano e si intrecciano cosi' tanto che, alla fine, probabilmente questo scritto non sara' una recensione ne' dell'uno ne' dell'altro, ma pazienza. 

Il film e' il racconto, raffinato ed esplicito insieme, del legame che si crea tra Oliver, studente universitario in via di specializzazione, ospitato in Italia dal professor Perlman, e Elio, il figlio diciassettenne di questi.

Non credo sia facile raccontare con la macchina da presa il gomitolo di riflessioni, scongiuri, preghiere silenziose, bronci e sottili seduzioni che si legge nelle pagine di Aciman. Il lento fiorire dell'interesse, della attrazione che Elio sente, verso Oliver; l'apparente indifferenza di quest'ultimo, il misto imprevedibile di scontrosita' e premura con cui si rapporta al ragazzo.

Credo che sceneggiatore e regista ci siano riusciti magistralmente; non senza scontri e divergenze d'opinioni, stando a quello che ho letto in alcuni articoli. 

Il film si ferma in un punto, oltre il quale il libro procede, per mostrarci i due protagonisti dopo quasi vent'anni, e funziona, a mio avviso: nel senso che cio' che vivono Elio e Oliver quando si incontrano di nuovo, credo si potesse difficilmente rendere sulla pellicola. Qui la storia ha una sua conclusione naturale, nel silenzio  e nello sguardo di Elio, che smuove la legna nel camino, dopo aver sentito la voce dell'amato per telefono. Le lacrime gli riempiono gli occhi e noi possiamo solo immaginare il groviglio di sentimenti e pensieri e sensazioni che si muovono tra il suo cuore e la sua testa.

Ho amato moltissimo Ivory come regista, e ritrovo, nella sua sceneggiatura, tanti particolari che ho immagazzinato dalla visione dei suoi film: quell'atmosfera un po' oxfordiana, che si respira a casa di Elio, nello studio del padre, tra fotografie e statue greche. Lo sguardo, come di un collezionista che scorra i marmi di un museo, si poggia sui corpi di Elio e Oliver con l'amorevole cura di un collezionista. I colori dorati e caldissimi dell'estate italiana, vista con gli occhi di uno straniero,  sono gli stessi di certe scene di "Camera con vista", traboccanti di spighe, oro, cieli azzurri e campi fioriti.

Credo che ci sia voluto del vero talento per trasformare in immagini anche gli amplessi di Oliver ed Elio senza che questi diventassero il fine ultimo della storia: non lo sono nel libro e non lo diventano nel film.

Non c'e' volgarita', non c'e' compiacimento, non c'e' estenuata insistenza. Forse - ma non posso dare torto ne' al regista ne' allo sceneggiatore -  si capisce che la macchina da presa e' essa stessa innamorata di Elio.

Nella storia ci sono anche altri personaggi, che Elio, nel suo percorso di conoscenza ed esplorazione o ignora, o "usa", credendo in fondo che non lo vedano, non lo capiscano o non possano rimanere feriti a loro volta.

Quello che mi ha intenerito di piu' e' il padre, cui appartiene un bellissimo discorso, riportato esattamente anche nel film perche' e' un punto fondamentale e un momento commovente, in cui si capisce che i silenzi di Elio non hanno nascosto nulla. E dietro i silenzi dei genitori c'e' la comprensione di tutto.

"(Mio padre) si chino' verso il posacenere e mi tocco' la mano.

<<Ti aspettano tempi durissimi>> inizio', alterando il tono della voce, anche se in realta' voleva dire: Non siamo obbligati a parlarne, ma non facciamo finta di non sapere...

<<Non preoccuparti. Il momento arrivera'. Almeno spero. E quando meno te lo aspetti. La natura e' molto astuta, sa sempre scovare i nostri punti deboli. Ricordati di una cosa: io sono qui. Adesso magari non vuoi provare niente. Forse non hai mai desiderato provare qualcosa. E forse non e' con me che vorrai parlare di queste cose, ma certo qualcosa hai provato.>>

Lo guardai. Era il momento di mentire e dirgli che era completamente fuori strada. Stavo per farlo.

<<Senti>> mi interruppe <<tra voi c'e' stata una bella amicizia. Forse anche qualcosa in piu'. E io ti invidio. Al posto mio, la maggior parte dei genitori spererebbe che tutto si dissolva, o pregherebbe che il figlio ne esca indenne. Ma io non sono cosi'. Al posto tuo, se il dolore c'e', lo farei sfogare, e se la fiamma e' accesa, non la spegnerei, cercherei di non essere troppo duro. .. Rinunciamo a  tanto di noi per guarire piu' in fretta del dovuto, che finiamo in bancarotta a trent'anni, e ogni volta che ricominciamo con una persona nuova abbiamo meno da offrire. Ma non provare niente per non rischiare di provare qualcosa... che spreco!>>

Era un discorso che non riuscivo nemmeno a prendere in considerazione. Ero ammutolito.

<<Ho parlato a vanvera?>> mi domando'.

Scossi la testa."

ANDRE' ACIMAN, Chiamami col tuo nome, Guanda Editore, pag. 162-163

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